giovedì, novembre 07, 2013

Editoriale sull'iniziativa "Precarietà e territorio" del 6 novembre



La precarietà pervade le nostre vite, facendolo spesso nelle maniere più subdole: tronca i rapporti interpersonali e isola i soggetti che la vivono, impedisce la progettazione del proprio futuro in un presente dilatato.
Siamo consapevoli del fatto che il lavoro ha subito delle trasformazioni radicali ed irreversibili e la strada da seguire non può essere quella della nostalgica commemorazione del lavoro in senso fordista. Pensiamo piuttosto che sia più utile indagare quali sono gli strumenti e le pratiche più adatti ad affrontare la precarietà in maniera conflittuale. Proprio di questo si è parlato giovedì 6 novembre a Roma Tre, presso la facoltà di Scienze Politiche, durante l'incontro dal titolo "Precarietà e Territorio" organizzato dalla Piattaforma territoriale per il reddito di Roma Sud, dentro la quale convergono le lotte di student*, lavorator* e precar* del quadrante meridionale della città.



L'iniziativa è stata divisa in due parti: nella prima sono intervenuti due sociologi dell'ateneo, Francesco Antonelli e Vincenzo Carbone, che hanno dato un contributo teorico fondamentale per inquadrare le modificazioni subite dal mondo del lavoro dall'imposizione del modello fordista fino ad oggi. La presentazione da parte del professor Carbone di un suo studio condotto con la collaborazione della Provincia di Roma ha messo in risalto la pesante condizione degli under-35 che risultano in massima parte sostenuti da quello che si rivela essere il welfare di ultima istanza cui spesso noi tutt* siamo obbligat* a ricorrere, ossia la famiglia. Nella seconda parte abbiamo cercato di capire tramite le esperienze di Alexis, realtà che fa parte della Piattaforma, e di Degage quali possano essere nella realtà le pratiche e gli strumenti di lotta utili a riappropriarci di quei pezzi di welfare smantellati dalla crisi e dall'austerità. Strumenti che non possono essere istituzionali, ma devono nascere dalla spinta autorganizzata dal basso; e dunque l'occupazione delle case come arma che hanno i precari per svincolarsi dal ricatto dei 500 euro al mese sborsati per vivere con dignità.



Infine ci siamo chiesti, in questo momento storico in cui la figura dello studente è tratteggiata con confini sempre più sfumati, in che modo lo stesso percepisca la sua condizione di precarietà e attraverso quali metodi possa tornare a rendere l'università un terreno di conflitto. Per questo abbiamo iniziato un percorso di inchiesta all'interno della facoltà tramite un questionario, finora compilato da un centinaio di studenti e studentesse. I risultati provvisori mettono in luce come essi non abbiano coscienza della condizione di precarietà che vivono e che vivranno nel loro futuro.

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